8 giugno 2010

Adesso le credo

Caterina dice che aspetta ogni mercoledì a partire dal mercoledì sera. Che è il suo piccolo momento di piacere. Io non mi faccio illusioni, però: dice tante cose. Quando arrivo ha già messo al loro posto i pezzi sulla scacchiera e i cuscini, visto che giochiamo sul pavimento e ogni partita dura un’ora o più. “Non tocca a me il nero” faccio, come ogni volta. “Si invece” dice lei, accarezzando i suoi pedoni bianchi come se fossero un piccolo esercito del bene.
Si siede leggera e apre: cavallo in F3. Rispondo con l’avanzare del pedone in D5. Le partite iniziano sempre così.
“Potresti preparare la scacchiera con questa disposizione” dico.
“Mai” risponde offesa.
Prende molto sul serio i piccoli gesti che anticipano ogni incontro: aprire la vecchia scatola in legno, rimuovere il panno, piegarlo con cura e sistemarlo sul tavolo; prendere i pezzi d'avorio, uno alla volta, osservarli, coccolarli e infine disporli al loro posto, ordinati e addestrati a giocare.
“Ogni pezzo ha la propria personalità” mi confidò una delle prime volte. “Le torri sono delle precisine noiose, gli alfieri invece dei buffoni di corte”.
“E i cavalli?”
“Loro sono nobili, al servizio di sua maestà, è ovvio”.
Chiede scusa a un pedone e lo sacrifica alla mia torre.
È una trappola; me ne accorgo troppo tardi.
Caterina è molto più brava di me. Io sono un principiante cocciuto che inciampa negli stessi errori; lei un’insegnante paziente che mi allena alla sfida di fine anno.
Dice che ultimamente ha visto dei progressi, ma lei dice tante cose. Come questa di aspettare ogni mercoledì. Sono io che sgrano i giorni come un rosario; le partite, per me, ormai sono un pretesto.
“Non ti distrarre!” mi redarguisce con un sorriso malizioso, come se i miei pensieri fossero una dichiarazione urlata al cielo.
Mi difendo dai suoi attacchi come posso: Caterina mangia i miei pezzi, uno dopo l’altro, e mi sento sempre più vulnerabile.
Sono scomodo, mi fanno male le anche. Lei è immobile a gambe incrociate, io mi muovo ogni cinque minuti. Mi alzo, mi sdraio, torno a sedermi per poi allungarmi di nuovo.
Caterina sbuffa: “Gli scacchi sono sofferenza e concentrazione”.
A volte capita che le parti si invertano. Allora la guardo farsi seria e studiare la disposizione dei pezzi rimasti sulla scacchiera. Mi piace quando stringe gli occhi in quel modo, attenta e determinata e immagino accavallarsi nella sua mente tutte le mosse possibili. Mi fa impazzire osservarla mordersi il labbro inferiore, indecisa e sensuale. Poi sorridere trionfante e rovesciare le carte in tavola. E io mi ritrovo di nuovo a difendere, però soddisfatto per quei minuti di piacere rubato.
Oggi comunque non è uno di quei giorni. Le mosse scivolano leggere a decretare l’ennesima sconfitta.
“Non ci siamo, non sei abbastanza attento” dice e muove la testa. Il profumo dei suoi capelli mi circonda e per un attimo tutto scompare.
Ha ragione. E la colpa è sua: mi sconvolge e nemmeno se ne rende conto.
Con poche, semplici mosse, Caterina si avvicina al mio Re.
“Scacco matto” esulta.
Sul mio volto appare un velo di dispiacere che fatico a mascherare. La partita è stata troppo breve così come la mia presenza qui, a casa sua.
“Andrà meglio la prossima volta” mi consola.
Davanti alla porta le do la mano: è liscia e morbida; Caterina si allunga sulle punte e mi bacia tre volte sulle guance.
“Non hai speranze per la gara”.
“Potresti farmi vincere, cosa ti costa?”
Oggi insegnante, domani avversaria.
“Non lo farei mai. Ti monteresti la testa e non verresti più alle mie lezioni. Non posso permetterlo”.
Mi ritorna il sorriso.
Adesso le credo: aspetterà davvero mercoledì da questa sera.

1 commento:

carlo ha detto...

bravo, non male il prof

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