22 giugno 2010

I miei occhi

Racconto inserito nella raccolta "Irlanda nel Cuore 2010"

La bambina prese per mano il fratello e corse fuori di casa; attraversarono il giardino dall’erba curata e prima di oltrepassare il cancelletto verniciato di bianco sentirono la voce della madre raccomandare loro di stare attenti.
«Va bene.» rispose e confermò con la testa.
Guardò a destra, poi a sinistra come le ripeteva suo padre da quattro giorni; la strada era deserta.
Trascinò Luca attraverso una distesa di erba soffice, di un verde chiaro brillante, appena mossa dal vento.
«Corri, dai!»
Si sentiva le gambe intorpidite dal viaggio in auto. Erano partiti presto e quel giorno avevano visitato Bantry e Killarney e altre cittadine di cui non ricordava il nome. Dingle era la meta dove passare la notte. Si erano fermati davanti a un’insegna “B&B” in legno, dipinta di rosso e bianco, che riproduceva la casa con un angolo di giardino infinito tagliato a metà dalla strada.
La padrona era una donna di mezza età, con le guance paffute e morbide, come tutto il suo fisico, nascosto sotto il vestito lilla con dei fiori stampati lungo le maniche.
Aveva lanciato un urlo di gioia nel sentire da dove provenivano.
«AH!! Roma, Firenze, Venesia! Molto belissimo!» e aveva stretto a sé i due bambini.
Sofia era rimasta seduta composta sul divano ad ascoltare i genitori raccontare del viaggio e di Varese, la loro città.
Quando la loro ospite si era assentata un momento, aveva chiesto alla madre se poteva andare fuori, sulla spiaggia. Si era tirata dietro il fratello e ora correva senza staccare la mano di Luca.
«Sofia, mi fai cadere. Vai più piano!»
Lei si fermò, e a gambe incrociate, si buttò sull’erba appena umida.
«Lo senti il profumo portato dal vento?»
«Sì. Odore di sale e prato appena tagliato, di pioggia sull’asfalto caldo. Ci sono delle pecore da qualche parte?»
«Di là, oltre quella recinzione. Hanno della vernice su un fianco, che strano. Andiamo!»
Davanti a un muretto in pietra e sassi lo aiutò a salire in equilibrio in cima e gli mise tra le mani la macchina fotografica.
«Sofia, come faccio?»
«Non essere pignolo. Non ti preoccupare, ti tengo io. Tu mira e scatta. Hai davanti l’oceano e una lingua di collina là in fondo. Concentrati e attento ai gabbiani. Ne voglio uno nella foto.»
Luca premette il tasto due volte, con la mano ferma e la fiducia cieca nell'ottimismo di sua sorella. Come sempre.
«Voglio sentire com'è l'oceano.» chiese e Sofia non se lo fece ripetere. Lasciarono le scarpe in un angolo e camminarono verso la spiaggia. La sabbia era morbida e umida e i loro piedi sprofondavano fino alle caviglie. Le loro impronte venivano cancellate subito dal vento che modellava il bagnasciuga.
Un'onda arrivò all’improvviso e i due ragazzi risero per quanto era fredda. Luca portò le mani a terra e aspettò una nuova onda.
«Non è come il mare d'estate.» disse con semplicità «Anche l'odore di salsedine è diverso. È un misto di acqua e pioggia. Anche i rumori non sono quelli delle spiagge d’agosto. C’è un bel silenzio.»
Sofia chiuse gli occhi e si concentrò su quello detto da Luca.
«Hai ragione.»
«Ti ricordi il verso di quella canzone? “Il cielo d'Irlanda si muove con te”. Mi sono sempre chiesto se è davvero così.»
Sofia guardò suo fratello e provò un senso di dolcezza.
Anche senza vista, lui guadava con gli occhi dell’immaginazione.
Durante gli spostamenti in macchina Luca restava con la fronte incollata al finestrino e ascoltava attento Sofia, che gli descriveva il paesaggio attorno: le strade strette, quelle asfaltate e quelle battute, con pecore pigre che alzavano la testa al loro passaggio, senza smettere di ruminare. Il sole che si nascondeva dietro a nuvole basse e grigie, e tutto intorno si faceva scuro. Gli scrosci improvvisi di pioggia e l’arcobaleno che dava di nuovo il bentornato al sole e alla luce e i prati, il cielo, le case, ogni cosa riacquistavano un nuovo colore, più vivo e brillante. Le cattedrali solitarie senza i tetti, bruciati o crollati, con solo i muri squadrati di pietre chiare, abbandonati ai turisti e all’edera. I cimiteri avvolti nella nebbia, le grandi croci celtiche dalle scritte sbiadite e cancellate dal vento.
In questo modo, nella sua testa, Luca vedeva ogni angolo d’Irlanda.
E restava senza fiato con il desiderio assurdo di non volere più tornare a casa.
Sentì la mano di Sofia sfiorarlo.
«Sì, Luca. Le nuvole si rincorrono e lasciano grandi spazi di azzurro. Sembra di esserci dentro, e ruotare insieme a loro, farsi trasportare lontano, leggeri.»
Il bambino abbracciò la sorella e le sussurrò un grazie a bassa voce.
«Di cosa?»
«Sei i miei occhi, lo sai. Questa vacanza non avrebbe senso senza di te.»
Sofia sentì un nodo in gola e girò la testa. Anche se Luca non vedeva si sarebbe accorto della piccola lacrima che faceva capolino.


«Bella storia.» dico e mi alzo dalla poltrona a fiori faccio cadere le briciole di torta alle mele che i miei ospiti mi hanno offerto assieme a del tè e sorrido. «Ora se mi volete scusare; credo che andrò a dormire.»
«Certo. In camera troverà delle riviste e una guida da consultare, se le serve.»
Il vecchio mi guida fino alla stanza, mentre quella che in un primo momento ho creduto la moglie riordina piatti e tazzine e le porta in cucina.
Afferra la maniglia senza titubare e fa cenno di accomodarmi.
«Ecco qui. La colazione sarà pronta dopo le 8.00. Buonanotte.»
«Grazie.»
Prima che sparisca oltre il corridoio lo chiamo.
«Scusi. Posso farle una domanda? Non ha nostalgia dell’Italia?»
Luca sorride e immagino gli occhi fare lo stesso dietro le lenti scure.
«E perché mai?» risponde.
E mi lascia per raggiunge sua sorella.

1 commento:

Sergio ha detto...

Chi è quel mio fan misterioso cha ha messo 5 stelline??? Un grazie di cuore....

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