8 settembre 2009

Modi'

Il cielo di Parigi è grigio, con le nuvole basse e minacciose; e nell’aria c’è quel profumo che annuncia la neve.
Cammino sola, la gente mi ignora. Solo qualche disgraziato, sdraiato in un angolo al riparo dal vento, allunga la mano e mi indica. Io non lo guardo nemmeno, e proseguo.
Mi stringo nel mantello e alzo meglio il cappuccio, perché questa notte, anch’io ho freddo; soffio nelle mani bianche e magre, e quel po’ di calore, svanisce in una nuvola densa.
Rue de la Grande Chaurmière. Il posto è questo.
I vecchi gradini di legno non sentono il mio peso e il mio ingresso passa inosservato, come sempre.
La stufa è spenta e a terra ci sono resti di carbone, scatolette aperte di sardine e bottiglie vuote, di vino e di gin. La finestra lascia passare gli spifferi e il freddo di gennaio; l’aria gelida non aiuta la sofferenza dell’uomo disteso a letto. Ha gli occhi chiusi, la barba incolta; il volto magro è pallido. Le coperte non lo scaldano.
Jeanne è seduta accanto al letto, con lo sguardo fisso sul compagno. Non parla e prega. Le mani, unite sul ventre, cullano quell’essere che, io lo so, non vedrà mai la luce.
L’uomo ha un improvviso attacco di tosse che gli toglie il respiro. Punta i gomiti sul materasso, si alza, si aggrappa al braccio di Jeanne. Poi spalanca gli occhi.
E mi vede.
«E’ arrivata a prendermi…» sussurra terrorizzato, prima di crollare di nuovo sul letto, senza forze.
«Povero, delira.» dice qualcuno, uno dei suoi amici artisti.
Arriva il dottore, si porta al capezzale, e ordina a un ragazzo di correre a comprare legna o carbone.
«Altrimenti morirà di freddo, prima che io possa fare qualcosa.»
Gli controlla il polso, il respiro, la temperatura. Poi scuote la testa.
«Bisogna portarlo subito in ospedale. E sperare.»
Alla speranza si aggrappano gli uomini, non certo io, che so come andranno le cose.
Mi vedo di sfuggita allo specchio. Sarei stata una modella perfetta, per lui. E forse lo sono stata. In ogni ritratto che ha dipinto c’è un po’ di me: il collo lungo e sottile, il volto magro e ovale; e quegli occhi, quelle fessure vuote, senza età, dove l’anima riposa.
Mi avvicino al letto e lo bacio sulla fronte. E’calda di febbre.
«No, Amedeo, non sono qui per portarti via. Non ancora.»
Ci sono volte in cui non vorrei fare quello per cui sono nata. Oggi è un giorno di quelli. Per questo prendo tempo, anche se il suo destino è già segnato. Ci resteranno i ritratti, le sculture, i dipinti di questo artista maudit, come lo chiamano qui, in Francia, solo per l’assonanza al suo cognome, italiano, di Livorno. E dovremmo accontentarci, perché da domani i suoi pennelli e le sue tele riposeranno nell’ombra e nella polvere.
Gli amici, pittori e poeti lo prendono in braccio e lasciano l’atelier, per portarlo all’Ospedale della Carità.
Jeanne rimane seduta, nella stessa posizione. Invidio il suo amore per Amedeo e il coraggio di quel suo pensiero, che inizia a sfiorarla, nonostante tutto, nonostante aspetti un figlio. Non sa vivere senza Modì, e perché vivere senza di lui, si chiede.
Mi avvicino e le sistemo i capelli dietro l’orecchio.
«Non rimarrai sola…» sussurro «verrò a prendere anche te…»
Sembra un sorriso di sollievo, quello che le si forma sulle labbra.
Le do le spalle, e me de vado.
E mi ritrovo, con il cuore pesante, ad asciugarmi gli occhi umidi.

1 commento:

il prof ha detto...

non male Modì...attenzione, seconda riga, due volte 'solo', troppo vicino...il racconto, più è breve, più si avvicina alla poesia, massima attenzione alle parole...il prof

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