17 marzo 2009

Antoine e l’ultimo volo

Il fumo esce dai fori nella carlinga. Sono pozzi neri senza fondo e tolgono fiato al velivolo. Il motore tossisce e respira a fatica. I numeri di solito così stabili sull'altimetro si muovono impazziti all'indietro. L'aereo è un amico stanco e ferito che chiede pace e riposo. Si agita e scalcia appeso al cielo da un filo trasparente sempre più esile.
Mi piaceva vedere il mondo dall’alto. Da piccolo i giorni passavano sui rami della quercia che regnava nella nostra tenuta, a Lione. Avevo l’impressione di abbracciare tutto e tutti con lo sguardo.
Mi piacevano gli aeroplani, quando alzano il muso da terra, quando la linea dell’orizzonte si fa alta e si unisce al cielo e il mondo ti manca sotto i piedi. Con un solo movimento, delicato e deciso, della cloche galleggi con gli uccelli e dividi con loro la stessa libertà.
Il mio destino era il cielo, scritto sulla fusoliera di un aereo, lungo la linea Tolosa-Casablanca-Dakar. Sorvolavo le pianure colorate della Spagna e la lingua d’acqua dello Stretto di Gibilterra e il paesaggio mai uguale delle dune del Sahara. Il migliore tra tutti i corrieri postali d’Europa, conoscevo le nuvole e i temporali e loro conoscevano me.
Poi la guerra.
Le mitragliette presero il posto delle lettere d’amore, e dall’alto tutto aveva il colore ramato del sangue.
Le stelle piangevano pietà, quando la notte era rischiarata dai colpi e dalle fiamme che avvolgevano gli aerei e li trascinavano a terra.
Come il mio.
E allora la scrittura come medicina. Come bandiera bianca. Una fiaba per raccontare al mondo di un piccolo principe e della sua rosa e di come l’essenziale sia invisibile agli occhi.
Ma niente poteva tenermi lontano dai cieli e partire contro il vento. I voli di ricognizione per la mia Francia. Cinque missioni lungo le coste frastagliate della Sardegna e della Corsica, con gli stormi di uccelli come cavalleria.
Fino a questa, l’ultima. Respiravo l’odore delle nuvole e una mitragliata di morte ha tirato una riga sul mio F-5.
L'aereo è un mostro morente e disegna trame irregolari. Sullo sfondo il verde del mare e l'azzurro cielo, di questo giorno di fine luglio, si mescolano in un vortice. L'impatto nelle acque fredde è tremendo. L'istinto mi dice di uscire dalla cabina, ma il cuore si mette comodo contro il sedile di cuoio. Mentre l'aereo vola negli abissi ritrovo tutti quelli che ho incontrato a terra e nel cielo. Il re triste e l'ubriaco che beveva per dimenticare d'esser alcolizzato e il geografo in attesa di un esploratore.
L’ultimo respiro guizza via lontano e ho la certezza che la guerra è l’unica volpe impossibile da addomesticare.

3 commenti:

Davide ha detto...

Auguri Dusan per il tuo primo racconto sul blog!

Sergio Cova ha detto...

Grazie mitico.....

mantita ha detto...

Ciao Sergio. Più ti leggo e più diventi il mio autore preferito! Tra le parole si scopre una sensiblità non comune che solo i grandi possiedono. "Il re triste e l'ubriaco che beveva per dimenticare d'esser alcolizzato e il geografo in attesa di un esploratore...
L’ultimo respiro guizza via lontano e ho la certezza che la guerra è l’unica volpe impossibile da addomesticare" queste parole mi ricordano una passione che forse ci accomuna, per Faber il grande maestro di vita.
baci
Manu

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