10 marzo 2009

Sola e Incompresa

Sono appoggiata con la schiena a una colonna del tempio e guardo in basso. Le immagini sono sfuocate, gli occhi lucidi di un pianto senza forze che non riesco a fermare.
Il vento porta l’odore del mare misto a quello del fumo, soffia l’aria fredda di ottobre e il calore pungente delle fiamme. La città brucia.
Tiro su con il naso e raccolgo le ginocchia al petto e le stringo con le braccia nude. Vorrei farmi piccola e invisibile. Vorrei scomparire.
Invece sono qui, sola. Come lo sono sempre stata. Sola e incompresa.
In lontananza sento il rumore del ferro delle spade sugli scudi; le urla della battaglia e quelle dei feriti risalgono la montagna, si fanno strada tra gli alberi e vengono a prendermi, mi circondano, mi colpiscono. Mi asciugano l’anima. Non ce la faccio più. Porto le mani alle orecchie e ricomincio a piangere. Posso fare solo questo.
Apollo, io ti maledico! Tu che mi volevi, tu, dio delle stagioni, che hai posato il tuo sguardo sulla mia pelle bianca. Maledetto il tuo dono, questa veggenza, questo sguardo al futuro che mi porto dietro come una pena. Maledico la tua vendetta di uomo, quel tuo bacio, quella condanna a non essere mai creduta.
Sono stanca di abbaiare da tanto tempo a sassi che non sentono. Ho guardato Paride partire per Sparta e sapevo con chi sarebbe tornato. Ho guardato il cavallo di legno entrare attraverso le porte di Troia presa dallo sconforto e da una frustrazione cieca. Nessuno ha voluto ascoltare i miei timori, le mie parole di allerta. Correvo ovunque; scongiuravo, pregavo di lasciare fuori dalle mura quel falso regalo dei nemici greci. Invano.
E ora eccolo qui, davanti a me, l’Ade.
Il fumo sale verso le nuvole e si confonde con il grigio del cielo; una pioggia sottile inizia a scendere su vittime e carnefici, su colpevoli e innocenti. Non basterebbe una tempesta per lavare via il sangue dalle strade e dalla memoria dei sopravvissuti.
Ma non è finita. Mi alzo sulle gambe deboli appena sento il respiro affannoso del soldato e l’odore di sudore e odio. L’armatura di cuoio e ferro si gonfia al ritmo della fatica; spada e scudo gli tengono occupate le mani; le braccia sono sporche di sangue non suo.
«Ti aspettavo.» gli dico senza voce.
Nessuno può fuggire il proprio destino, nemmeno chi ha la sventura di conoscerlo. Io, Cassandra, avevo già visto la sua corsa come una furia e le mie vesti gettate a terra senza rumore. Avevo già sentito il peso del suo corpo e il movimento feroce da togliermi il fiato.
Le lacrime hanno smesso di cadere mentre a occhi chiusi resto sola con la mia sofferenza.
Così grande da non riuscire a prevederla.

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