3 marzo 2009

Il Concerto

Il concerto iniziava alle nove. C’era l’ansia. Come quando aspetti qualcosa di bello e toccante e il tempo si ferma. Ti arride beffardo. Guardavo le lancette e non si muovevano di un passo.
Impossibile stare a casa. E poi c’era il problema dei posti. Biglietto unico. Prima arrivi, meglio vedi.
Così ci eravamo trovati sui gradoni del palazzetto con due ore d’anticipo. Altri avevano avuto la stessa idea. A mucchietti sparsi, giovani e adulti discutevano. Sotto di noi uno con la chitarra suonava un anticipo del concerto. E gli altri, dietro, a fare i cori. Con il vino che passava di mano in mano.
Mi ricordo di aver sbirciato dalla vetrata. Il palco aveva portato via metà parquet dove Pozzecco & Meneghin avevano regalato la stella a Varese. Alcuni musicisti provavano. Ellade e Ares. Batteria e basso. Il primo tonfo nel petto.
La gente sul piazzale aumentava. I piccoli gruppi erano stati inghiottiti da quelli più grossi. Una massa unica di fan.
Il suo primo disco finito nel mio stereo è stato Parnassius. Giovane sedicenne avevo guardato la cassetta e il nome scritto a penna e avevo pensato chi è questo? Dopo un mese il nastro era ormai rovinato dalle volte in cui l’avevo fatto andare avanti e indietro senza pietà. Poi, uno alla volta, tutti i dischi erano finiti nelle mie mani e nelle orecchie e nel cuore.
Con un cenno ci hanno fatto entrare. Un fiume lento scivola dalle tribune, dalle gradinate, e si arena sotto al palco, davanti alle transenne.
Seduto a gambe incrociate giro la testa in cerca di facce conosciute. Il mio allenatore, quello che mi doveva dare tutti i 33 giri e sono ancora qui adesso ad aspettarli. Un ragazzo mi saluta e mi fa vedere l’autografo. ‘Sto stronzo. Però da amico mi indica Raffaella e allora provo l’impossibile. Mi avvicino. Con gli occhi teneri e imploranti le chiedo una dedica. Sorride e mi dice di aspettare. I cinque minuti durano ore. Poi torna con un foglietto. “A Ilaria e Sergio” e uno sgorbio di firma. La I e la S sono pasticciate. “Aveva iniziato a scrivere il tuo nome, ma ha corretto per galanteria” risponde alla mia domanda silenziosa.
Riprendo posto. Siamo ammassati e impazienti. C’è odore di fumo e di vino. E di quello che sarà. Di canzoni. Di pelle d’oca e voce rauca. Di orecchie doloranti e cuore grosso d’emozione.
Le luci si spengono e il palco si riempie. Lui al centro. Camicia blu e jeans. Saluta, ride e scherza. Come sempre. Non è un divo e ti sembra di conoscerlo da una vita.
Abbraccia la chitarra e partono i primi accordi. LA/MI/FA#m/RE. Poi con l’erre arrotondata inizia a cantare.
Lunga e diritta correva la strada…

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