24 febbraio 2009

Samuele Arcangioli e il Quadro

Oggi tutti mi guardano. Mi sento fiero mentre Samuele Arcangioli, mio papà, mi mostra a tutte queste persone. Ascoltano in silenzio, si avvicinano e osservano quei piccoli segreti che solo io e lui conosciamo. Gli fanno domande, alcune semplici e curiose, altre sfiorano argomenti così astratti e astrusi che non riesco a seguire in pieno il senso.
Pensare che solo fino a poco tempo fa ero un inutile pezzo di legno, dimenticato dietro un mucchio di scatoloni bagnati dalla pioggia. Lui mi ha trovato e mi ha portato nel suo studio che sa di olio, di carbone e acquaragia. Mi ha rimesso in sesto, mi ha studiato, ha letto nelle mie venature una traccia di ispirazione e ho sentito le sue mani su di me.
Trasparenza, diceva mentre mi velava con olio di lino prima di abbozzare la figura con un carbone grosso e fragile tra le dita.
Chi mi guarda vede il lavoro finito e pensa “facile” e non immagina quanto c’è nascosto dietro. Quanti passaggi e quante ore. Perché non c’è più niente di sbagliato che dare fretta al tempo. A volte ho bisogno anche di giorni per poter avere quell’aspetto che Samuele chiede ai colori che stende, in veli sottili e fragili.
E’ un incanto vederlo all’opera. Mi colpisce con le mani sporche, con pennellesse, con stracci, mi ferisce con lame o punteruoli, ma non sanguino mai. Resto a guardare nel suo sguardo, come in uno specchio, quello che crea.
Per primo l’occhio. L’occhio maledetto, la partenza e l’estasi. Tutto intorno sfuma e diventa nebbia impalpabile. E’ un punto nero e un pozzo scuro dove l’anima ristagna, dove ci si ritrova senza sapere d’essersi persi. Occhio di ragazza o di leone sono la stessa cosa. Entrambi ti guardano e ti senti graffiare dentro e pare che ti conoscano da sempre.
A volte si allontana e mi fissa per cercare le proporzioni, poi prende uno straccio e cancella qualche segno, ma anche quello è un continuare a disegnare.
E’ felice. Mentre crea sputa fuori la rabbia e l’ansia di una settimana e tu non puoi far altro che essere contento perché sai che è anche merito tuo.
Gli chiedono come fa a stabilire quando un quadro è finito.
E’ il tempo che segna la fine di tutto, è il quadro stesso che lo fa fermare, perché lui continuerebbe, sempre avanti, anche al buio, con la penombra amica che ti aiuta. La luce colora più del colore, dice e sa che prima o poi arriverà l’ultima pennellata.
Tutti se ne sono andati e già mi mancano le attenzioni del pubblico. Ma non sono solo.
Mi hanno lasciato con i miei fratelli, fortunati figli di un padre dall’aria un po’ bohemien con la magia tra le dita e la fantasia negli occhi.

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