9 dicembre 2010

Gli stivali

Un paio di stivali.
Di cuoio. Neri. Lucidi ovviamente.
Morbidi dal primo giorno, con il tacco rinforzato; un piacere camminare e sentire il tac tac ritmato del passo sui pavimenti di marmo antico o sul legno lucido di un parquet dell’Ottocento.
Con quella soletta che nelle occasioni lo rendeva più alto di quel che era almeno di 10 centimetri.
Spariti. Scomparsi. Rubati, di certo.
Spettinato, in vestaglia, aveva messo la testa fuori dalla camera. Gli stivali dovevano essere là, dove li aveva lasciati la sera prima, ma lustri e brillanti. Uno specchio, si era raccomandato con il cameriere. Gli aveva anche allungato una banconota e promesso una promozione. Le promesse erano il suo forte; mantenerle mica tanto, e la giustificazione era sempre quella: non posso certo ricordarmi tutto quello che dico.
Accanto alla porta, comunque, non c’era nulla.
Un ritardo. Un disguido. Un malinteso di sicuro.
Sacramentò e, ignorando il movimento lento di risveglio che proveniva dal letto, prese il telefono; compose il numero della reception e attese.
Uno squillo. Due. Tre.
Al quarto riattaccò e promise di comprare l’albergo solo per licenziare tutto il personale.
Le teste di due ragazze sbucarono da sotto le coperte con un sospiro.
«Vieni a farci compagnia?»
«Non ora. Iniziate voi».
Le guardò. Non era razzista, come dicevano certi giornali. E quella ne era la prova, se solo avesse potuto pubblicizzarla. Se ne era fatte mandare una bianca e una nera. Panna e cioccolata, le aveva definite nel vederle lavorare insieme.
Ecco. Dava anche lavoro, in qualche modo. Altro che le falsità di crisi messe in giro dai nemici. Faceva girare l’economia, lui. Non un milione di posti, ma quasi.
In ogni caso, aveva bisogno degli stivali.
Impossibile. Inimmaginabile. Non poteva andare fuori senza e neanche con le pantofole dell’Hotel.
Uscì sul corridoio. Ne avrebbe rubati un paio. Non era la prima volta che commetteva un furto e non sarebbe stata di certo l’ultima.
Passò davanti a ogni porta, per tutti i piani dell’albergo, nascondendosi al primo rumore sospetto.
Alla fine li trovò. Non erano belli come i suoi, ma alzò le spalle. Li provò di fronte allo specchio della camera. Calzavano a pennello e lo facevano sembrare più magro, più slanciato, più alto.
Una meraviglia si disse.
C’era solo quel piccolo particolare che lo lasciava perplesso. Si convinse da solo, perché era fatto così, agiva con la convinzione di essere sempre dalla parte del giusto.
Avrebbe lanciato una moda, si disse, e se fossero arrivate le solite critiche, sapeva come farle tacere.
Si mise di lato, per guardare di profilo quegli stivali.
Bianchi. Di pitone. Dodici centimetri di tacchi a spillo.

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