Moreno Linero era rimasto sveglio tutta la notte per scrivere la lettera. Alle prime luci dell’alba posò la penna sul tavolo, diede l’ultima lenta occhiata e poggiò con delicatezza le labbra sul nome del destinatario. Cosparse il foglio di profumo e lo arrotolò con esperienza. Poi prese un laccio di seta rosso dal cassetto e lo legò, senza stringere, al centro. Infilò la missiva nella bottiglia vuota del latte e dopo essersi vestito di bianco, dal cappello alle scarpe di vernice, era andato contro il flusso dei primi lavoratori, verso casa di Marisol Reyes; senza farsi vedere dalla domestica lasciò la bottiglia davanti alla porta.
Dietro la porta arrivavano deboli sospiri e singhiozzi di pianto.
Dona Rosalba scosse la testa e passò oltre. “Pene d’amore.” pensò “Gran brutta bestia”.
C’era passata anche lei, ai tempi della prima rivoluzione, ed era sopravvissuta senza grossi traumi. Avrebbe fatto lo stesso anche la ragazza, ne era sicura. Con le braccia colme di bottiglioni vuoti scese a passi insicuri i gradini stretti del patio.
«E questa?» disse nel trovare una bottiglia solitaria. La mise assieme alle altre; sarebbe passato il lattaio, come tutte le mattine, a ritirarle.
“Sarà qui tra poco” si disse nel guardare l’ora.
L’ora era sempre quella. Le 7.35. Florentino Urbino infilò di fretta i pantaloni di lino e la camicia leggera. Prese scarpe e cappello e uscì dalla finestra sul retro, lasciando l’amante in un sonno pesante, dopo la notte in bianco. Avrebbe pensato il marito, nel rientrare dal suo turno di vigilante, a svegliarla e a pretendere le briciole di ciò che lui aveva appena consumato.
Gli spettavail giro per il villaggio, a ritirare i contenitori vuoti, da riempire, e riconsegnare nel pomeriggio. In metà delle case non consegnava solo quelli. Ed era per questo che amava il suo lavoro.
Si fermava davanti alle porte, prendeva le bottiglie, dava un sorriso alle donne che lo spiavano dalle tendine ricamate e le salutava con gesti antichi, levandosi il cappello e con un leggero inchino.
Florentino riempì il cassone del suo motocarro verso mezzogiorno.
«Giusto in tempo per pranzo.»
Dopo pranzo, Giselle Marin uscì sotto il sole e guardò di sbieco suo marito dormire sull’amaca all’ombra della magnolia. Le lasciava il compito peggiore. Mungere le vacche e riempire le bottiglie. Tutte allo stesso livello. Doveva stare bene attenta; più di una volta Florentino era tornato con le lamentele delle clienti perché tra vicine volevano tutte lo stesso trattamento.
«E questa?» Giselle capovolse la bottiglia e si trovò in mano un foglio arrotolato. Slegò il nastro rosso e lesse curiosa.
Riga dopo riga sentì il respiro farsi debole e immaginò ogni tortura da infliggere al marito. La lettera non era firmata e lei non si domandò perché si trovasse lì, però le sembrò di colpo chiaro ogni ritardo di Florentino, ogni scusa, ogni sua assenza.
«La voglio vedere in faccia quella puttana.»
La faccia nello specchio era del fantasma di Marisol. Viso sciupato, con profonde occhiaie di pianto e notti di veglia per le notizie promesse da Moreno e che non arrivavano.
Al suono del campanello fece un salto. Si pettinò in fretta e scese di corsa le scale con la speranza di vedere il suo amore alla porta. Trovò Dona Rosalba litigare con una donna furibonda che appena si accorse del suo arrivo spinse a terra la domestica e le andò incontro, con l’intenzione di colpirla.
E così fece. La schiaffeggiò con la lettera la insultò, la minacciò rossa in volto di lasciare stare il suo uomo, se non voleva ritrovarsi sotto due metri di terra o sul fondale del fiume.
Marisol raccolse il foglio caduto sul tappeto, lesse e riprese colore. Lasciò la donna alle sue maledizioni e ritornò leggera in camera. Aveva riconosciuto il profumo di Moreno, le sue parole sussurrate sotto la finestra nelle sere calde. E quel laccio rosso.
La sposa aveva un laccio rosso attorno ai fianchi, rideva, e si metteva in posa per le foto di rito, accanto a Dona Rosalba che piangeva. Moreno Linero, vestito di bianco brindava con gli invitati e con Giselle Marin, la testimone di sua moglie.
Lei nascondeva la preoccupazione di non vedere il marito da un paio di giorni. Nonostante tutto, ventate di gelosia la colpivano ancora e provava compassione per vigilante, arrestato la mattina prima per l’omicidio della moglie.
“Tornerà” si disse e raggiunse Marisol.
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