13 aprile 2010

IL CLUB

Nel giardino privato del club, l'ombra della magnolia era avvolta dall’odore forte dei sigari.
Il Conte dell’Agnata raggiunse gli amici e si accomodò sulla sua poltrona preferita.
Alfonso, il cameriere, si avvicinò in silenzio con un vassoio e offrì una scatola d’argento lavorato.
«I suoi Romeo y Juliet, Milord.»
Il nobile ringraziò e ordinò dello Scotch invecchiato.
Accese con gesti lenti e il fumo lo avvolse in una nuvola densa.
«Come mai questo ritardo, caro Filippo?» chiese Ottone della Carrera, detto il Barone Rosso, per via del lignaggio e del colore dei capelli.
«Sono atterrato due ore fa. Ho trascorso la Pasqua nella mia tenuta in Argentina. Al lavoro, naturalmente. Quando hai 15 mila acri di prateria e dei rozzi gringo al tuo servizio non puoi riposarti.»
«Te l’ho venduta appunto per questo.» rise il Marchese Augusto di Montecristo. «Io sono stato a Dubai e Singapore. Grattacieli. Gli arabi investono in armi e cemento. Le prime mi fanno impressione, l'altro diventare ancora più ricco.»
«Che vita di sacrifici, la nostra.»
«Dunque sono il solo a essermi divertito.» sospirò il Barone Rosso. «Sono uscito a cavallo nelle mia tenuta nel New Hampshire con la duchessa di Snowhill, per una colazione sull’erba. Molto deliziosa, devo ammettere.»
«La colazione o Milady?»
«Non abbiamo mangiato molto, per la verità, mio caro.»
I tre restarono in silenzio, tra il cinguettio e il sole che filtrava tra i rami. Sfogliavano distratti i quotidiani e ascoltavano le chiacchiere degli altri membri del club.
Tre infermieri arrivarono tranquilli, le mani nelle tasche dei camici e con sorrisi falsi cuciti addosso.
«Eccovi qui.» esclamò uno e si avvicinò al conte.
«Ohibò.» rispose questi e fece il gesto di alzarsi dalla poltrona.
Un altro requisì il “sigaro” al barone rosso e scosse la testa.
«Basta liquirizia, Ottone. Sai che il dottore non vuole, non ti fa bene.»
Senza dire nulla, Augusto arrotolò la manica del maglione e mostrò la spalla.
«Avanti, muoviti.»
Il terzo infermiere tirò fuori dalla tasca una siringa e iniettò un calmante a marchese.
«Bene ragazzi. La vostra gita nel parco è finita. É ora di tornare in camera. E non provate a scappare come al solito.» e mostrò loro un piccolo congegno che veniva usato spesso per stordire.
I sei camminavano a passi svelti verso l'edificio. Sopra all'ingresso la scritta “Ospedale psichiatrico” sembrava sorridere con cattiveria.
Prima di essere portati ognuno nella propria stanza imbottita e ovattata, Ottone, Augusto e Filippo rallentarono il passo.
«Tra poco è il primo maggio.»
«Festa dei lavoratori.»
«Potremmo organizzare un'altra gita di fuori porta...»

Nessun commento:

Posta un commento