Eccolo il momento perfetto, quell’attimo atteso, sospirato per un’infinità di minuti pigri e tutti uguali, restando fermo, immobile, con il battito del cuore lento come il respiro, inspirare ed espirare inspirare ed espirare, con calma, senza fretta, e seguire il movimento del petto per rimanere concentrato alla vita frenetica guardata attraverso il mirino, un occhio chiuso e uno aperto, con quella strana smorfia sul volto, l’indice destro sul pulsante di scatto, la mano sinistra sull’obbiettivo, con due dita girare la ghiera di pochi millimetri per mettere a fuoco questo o quest’altro soggetto, e cambiare in un attimo prospettiva e senso della foto, sentire la macchina pesante sui muscoli delle braccia e lottare contro il tremore della fatica appoggiando i gomiti sul tavolino, ma un attimo soltanto perché si abbassa l’angolazione, la profondità dello spazio e niente è più come dovrebbe essere, così invece è tutto perfetto, con l’uomo sulla sinistra, di spalle, appena accennato, seduto al Cafè, e sullo sfondo, dall’altra parte della strada, l’Hotel de la Ville, il Municipio, interrotto dal ferro scuro di un lampione senza lampada e dalla sagoma veloce di due auto, c’è la folla a fare da contorno, cammina in fretta nell’aria fredda di dicembre, persa nei propri pensieri lungo la propria vita, indifferente all’amore nitido dei vent’anni dei due, al centro della foto, in mezzo al marciapiede, lui, cappotto scuro e sciarpa chiara, capelli scompigliati e ribelli, con la testa piegata verso di lei e le sue labbra, mentre il braccio destro le cinge le spalle e la trattiene leggermente per farle rallentare il passo e assaporare meglio quel bacio im

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