1 dicembre 2009

La partita

Domenica di maggio, metà pomeriggio: sono uno dei primi ad arrivare; prendo posto nella tribuna stampa, mi levo la giacca e aspetto.
Guardo la curva nord, quella sud e i distinti, di fronte a me. Alcuni tifosi cercano la visuale migliore; si siedono, si alzano, si spostano, finché non trovano quella che li soddisfa. Qualcuno appende degli striscioni alle balaustre.
Quella di oggi è una partita commemorativa, di vecchie glorie, dove non ci sono in palio né punti né coppe dei campioni. L’agonismo in campo serve solo a divertire il pubblico.
Mi accendo il toscano e l’odore aspro si mescola al profumo dell’erba appena tagliata portato dal vento.
Con il passare dei minuti gli spalti si riempiono. I gradoni in cemento sono occupati da una massa colorata d’ogni età. Sono tutti qui per vedere la Squadra. Ci sono i più anziani che hanno sofferto e gioito per ogni scudetto vinto; e ci sono i giovani che ne hanno sentito solo le gesta, e guardato i loro volti in vecchie immagini in bianco e nero.
La gente mormora, applaude, fischia. Uno con il tamburo dà il ritmo agli altri per i cori d’incitamento.
«Eccoli!» urla qualcuno, e i giocatori entrano in campo di corsa, prendono posto nella loro metà di campo.
Il sole e il caldo, per un attimo, hanno lasciato il posto a una nebbia fredda, la stessa che accompagna sempre gli undici, la stessa che nascondeva il colle di Superga quella sera del ’49.
Eccolo il Grande Torino e i nomi tornano alla mente come una poesia di scuola: Bacigalupo Ballarin Maroso, Grézar Rigamonti Castigliano, Menti II Loik Gabetto, Mazzola Ossola.
Anche la tribuna stampa è occupata in ogni posto; saluto Brera che ricambia con un gesto della mano nella quale tiene la pipa. Ci sono Beppe Viola, Ciotti e Ameri. Poco più in là i due Tosatti, padre e figlio. Al più anziano, con i giocatori sull’aereo quel giorno, scende una lacrima e la nasconde in fretta.
Mancano gli avversari, una selezione di campioni, italiani e stranieri. Si fanno attendere per lasciare al Torino il gusto di sentire ancora il calore della folla.
Poi eccoli, guidati da capitan Scirea. Alle sue spalle escono dal tunnel Puska Meazza e Schiaffino, Jasin Piola e Sivori, Meroni Signorini, Garrincha e George Best.
L’arbitro stringe le mani ai giocatori e lancia in aria la moneta. Testa o croce. Palla o campo.
E’ tutto pronto, manca solo il fischio d’inizio.
Non so se sono morto anch’io, ma non mi interessa.
Riaccendo il sigaro e mi metto comodo.
E che vinca il migliore.

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