7 luglio 2009

Sluag

Mi trovavo in Irlanda per scrivere storie di leggende e misteri da poter pubblicare sul giornale che pagava il mio misero stipendio. E l’unico che poteva essermi d’aiuto era un pescatore di nome Flann Stoker. Se non era in mezzo all’oceano, con la sola compagnia della sua barca, avrei potuto scovarlo all’ O'Donoghue's pub.
E lì l’avevo trovato, davanti ai resti di Irish Stew e ai fantasmi di due pinte di Guinness.
Gli offrii la terza perché era l’unico modo per rendermelo amico e piano, sorso dopo sorso, mi raccontò delle notti passate al largo, con l’odore di salsedine nelle narici e il buio e il rumore del mare come amici.
«Una sola cosa fa tremare le ossa a un vecchio marinaio.» disse.»
Abbassò di un po’ il livello di birra, si avvicinò così tanto che sentii l’odore salato che lasciava la sua pelle e l’alcool che usciva ad ogni respiro, poi riprese «sono i formorians quelli da cui bisogna stare alla larga, ragazzo.»
«I formorians?» chiesi e mi accostai ancora di più, con il naso tappato e la curiosità che si faceva strada.
«Già, proprio loro. Non dirmi che non ne hai mai sentito parlare?»
“Beh…si…no…Cioè, mi sembra…»
Il vecchio scoppiò in una risata secca che si trasformò in tosse secca e gli levò il fiato. Abbracciò l’uomo alla sua destra e gli urlò qualcosa nell’orecchio. Questi ascoltò, poi si girò verso di me e in un attimo si unì alla risata di Stoker. Nel giro di un minuto tutti i presenti erano a conoscenza del fatto che ignorassi chi o cosa fossero i formorians.
«Sono esseri che infestano le acque.» riprese il marinaio quando si fu calmato e dopo avermi fatto cenno di offrirgli un’altra Guinness. «Un tempo abitavano questi luoghi poi però i Tuatha de Danaan, uno dei popoli preistorici che governarono l’Irlanda, li spinsero in mare, e proibirono loro di rimettere piede sulla terraferma. Da allora sono passati i secoli sono vissuti sempre nei fondali mutando il loro aspetto. Sono esseri mostruosi, veloci come diavoli, che attaccano le imbarcazioni e seminano morte e follia nei pochi, pochissimi superstiti, che hanno la sventura di sopravvivere al loro incontro.»
«Ma lei non li ha mai visti, vero? Sono solo leggende…»
«Solo leggende ragazzo? Vai a chiederlo a chi adesso parla da solo e trema a sentire la pioggia che batte sui tetti. Esistono, fidati.»
La voce del pescatore era sempre più impastata e molte parole inciampavano sui denti e lì rimanevano.
«Come i folletti. Secondo te anche loro sono inventati?» chiese con gli occhi rossi e spalancati «molti giurano di averli incontrati a cavallo di rane, con i loro berretti flosci e lo sguardo furbo e il sorriso da orecchio a orecchio. Chiedi ragazzo se non mi credi. Sono dispettosi e grandi burloni. Non ti è mai capitato di aver bisogno di qualcosa e di non trovarla, anche se sapevi con certezza dov’era? Sono loro, i folletti, che si prendono gioco di te.»
Fece per girarsi e agguantare il primo che aveva a portata di braccio, ma lo fermai in tempo. Non avrei sopportato un’altra risata pubblica.
«Ci credo, ci credo.» risposi, mentre uccidevo il sorriso che mi nasceva sulle labbra.
«Quando la luna è piena, chiara e immensa, puoi vedere le loro ombre muoversi veloci verso i recinti delle bestie perché hanno la cattiva abitudine di lasciare libere pecore e vacche. Solo se fai trovare loro pezzetti di polenta e salsicce alla griglia, o formaggio fuso, puoi stare certo di non subire scherzi.»
“Almeno sono dei buongustai.” pensai stringendo la mano a Stoker e ringraziandolo per la chiacchierata.
Quando uscii dal pub la nebbia avvolgeva ogni cosa. Il cono di luce dei pochi lampioni che costeggiavano la strada, faceva fatica ad arrivare a terra e si perdeva nel grigio dell’oscurità. Mi strinsi nel giaccone e tornai verso casa con l’umidità che mi sfiorava il viso. Avevo fatto pochi passi e mi sembrò di sentire più freddo, un’aria gelida soffiarmi addosso. Mi sentii sfiorare da qualche cosa, mi fermai e guardai in giro. Il contorno delle case, degli alberi, dei muretti in sasso erano opachi e impalpabili. “E’solo un’impressione” mi dissi e aumentai il passo.
Poi li vidi.
Delle ombre nere danzavano a pochi metri da me. Mi correvano incontro, si fermavano poi si allontanavano di nuovo nella nebbia. Sembravano minacciosi corvi in volo. Vedevo i loro ghigni bianchi brillare nell’oscurità e fessure di fuoco al posto di occhi.
Sluag.
Il nome mi arrivò alla mente come una scossa. Spiriti feroci e crudeli, cattivi e perfidi, anime di peccatori scese sulla terra per portare con sé negli inferi altre anime.
Corsi con i piedi che inciampavano ad ogni passo; con il sudore gelido sulla pelle e gli occhi spalancati e solo dopo aver chiusa la porta alle mie spalle iniziai a riprendere fiato e colore sul viso.
Gli Sluag erano rimasti fuori, ero salvo. Tutta la stanza mi girava attorno. Lo spavento, la birra, le gambe che tremavano. Mi buttai sul letto, ancora vestito, e poco dopo mi addormentai.
La mattina successiva tutto era un ricordo lontano e opaco come lo sono spesso i sogni.
O gli incubi.
Scesi in salotto e il cuore si fermò alla vista di quattro Sluag, seduti intono alla tavola. Girarono le teste nere come la pece e i loro ghigni erano lì, spaventosi come poche ore prima. Le gambe diventarono molli e mi ritrovai in ginocchio nella moquette morbida di quella casa di inizio Novecento, dove avrei visto la mia vita finire. Chiusi gli occhi e aspettai.
Li riaprii solo dopo aver sentito la voce della signora O'Brien e il tocco della sua mano sulla mia spalla.
«Cosa fa in ginocchio? Non si sarà spaventato per il costume di Halloween dei miei nipotini, vero?»


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