12 maggio 2009

Il pugile

A Beppe Viola…grazie per la battuta







Gioca di gambe. Non stare mai fermo. Tieni alta quella guardia.

I consigli del coach arrivano da un altro pianeta, però li conosco a memoria e una vocina mi ripete sempre la stessa litania quando combatto. E anche fuori, perché il mondo è un ring, con gli avversari, l’arbitro, il pubblico. E gli incontri truccati.

Beh, a me nessuno ha mai offerto soldi per finire KO. Forse perché lo faccio così bene da solo che sarebbe da idioti pagarmi.

Ora però sono ancora in piedi. Le gambe reggono. E’ l’udito a preoccuparmi. E’ come se avessi la testa sotto un metro d’acqua. Rumori, grida e incitamenti sono ovattati, lontani anni luce. L’unica cosa che sento senza problemi è un fischio lungo e continuo. E non è una cosa normale.

Finito anche questo round. Il mio angolo sembra molto più lontano dell’ultima volta. Coach e massaggiatore mi raccolgono e mi adagiano piano sullo sgabello. Qualcuno mi fa aria e riprendo il fiato perso tra le corde dopo una grandine di pugni.

«Come vado?»

«Se lo ammazzi fai pari.»

Mi guardo al maxischermo. La telecamera fa un primo piano sul volto e osservo i lividi, il sangue, e quell’occhio nero che tende al viola.

Sarà contento il mio manager. E’ il discendente del gatto e della volpe. Sente il profumo dei soldi e del guadagno, tutto suo ovviamente, peggio di un cane da tartufi.

E’ stato lui a cambiare il mio cognome in Viola e vestirmi tutto di questo colore.

«E’ un’ottima scelta di immagine.» ripeteva, mentre lo imploravo di lasciar perdere. Il viola, per la gente di spettacolo, è un colore che non dovrebbe esistere.

Niente. Mi ha riempito gli armadi con abiti di ogni tonalità trasù da ciocc. E anche l’accappatoio, i calzoncini e i guantoni.

Sarà anche per questo che non ho mai vinto un incontro.

Pausa finita. Ritorno in mezzo al ring. Il cervello dev’essere rimasto sullo sgabello perché braccia e gambe si muovono per i fatti loro.

Schivo un montante e mi porto sulle corde. Mai stare alle corde. E’ come fare il buon samaritano o porgere l’altra guancia. In Paradiso ti farà avere un posto di riguardo, qui sulla terra ti manda diritto al pronto soccorso.

Mi chiedo cosa ho fatto di male a questo colosso. Non manca un colpo e ci mette una cattiveria da psicopatico.

Vedo il guantone venire incontro all’unico occhio sano prima di finire al tappeto.

L’arbitro conta piano fino a 10.

Le palpebre sono due saracinesche chiuse a doppia mandata. Ho delle visioni. Cassius Clay e Primo Carnera che mi tirano su e mi portano via da quel mostro. Hanno parole dolci e d’incoraggiamento.

Li osservo meglio. La loro pelle ha una strana sfumatura di lilla.

Quasi viola.

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