5 febbraio 2009

Il Campione del Mondo

La bicicletta scivola leggera lungo la discesa.
Mi volto indietro. Nessuno alle mie spalle. Solo l’ammiraglia, qualche moto e la scia confusa di tifosi.
Ho bisogno di gettare via un po’ di chilometri, appesi alle gambe da tre ore, per lasciar posto a quelli che mi separano dalla vittoria.
Levo le scarpe dagli attacchi e sciolgo i muscoli. Poi riprendo a pedalare.
La squadra è quasi tutta ancora qui con me.
Abbiamo accelerato assieme, a un mio cenno muto, dopo il primo giro del percorso. Il gruppo è rimasto lì, fermo sui pedali, a guardare l’attacco. Incapace di tenere il nostro ritmo. Sul tratto in salita, con il lago alle spalle, eravamo aironi pronti a prendere il volo. Curva dopo curva li abbiamo visti sparire lontano.
Con il passare delle ore e della strada, la stanchezza ha colpito alcuni dei ragazzi. Si sono staccati, sono rimasti indietro e il gruppo a quest’ora li avrà inghiottiti senza pietà.
E’ il rischio dei gregari. Uomini da sacrificare per la gloria di altri. Faticano sui pedali con la testa china, con le gocce di sudore che lasciano una scia sull’asfalto. Esultano ai margini delle telecamere. Molti attraversano la carriera in punta di piedi, senza disturbare. Altri hanno la forza nelle gambe e riescono a ritagliarsi la gloria di qualche tappa. I migliori diventano capitani. Come me.
Sono il favorito e tutti corrono per la mia vittoria.
Ma sono io seduto sulla sella. Io spingo con il fiato corto. Cambio i rapporti e a volte non sento nemmeno il fragore della gente. Sordo dalla fatica e dal pompare del cuore.
L’età si fa sentire sui muscoli e nella testa. Una volta sceso dalla bici darò l’addio alle corse. Sarà una sorpresa per tutti.
I chilometri passano veloci sotto le ruote. Salite e discese. Per poi salire ancora. E il respiro del gruppo si fa sempre più pesante alle spalle.
Siamo rimasti in due.
Guardo il mio compagno di squadra. E’ giovane ed è alla prima convocazione in nazionale.
Ha resistito ai crampi e ha stretto i denti. E l’ha fatto solo per me.
Siamo passati sotto il triangolo rosso. Ultimo chilometro.
Si volta indietro. Guarda me e l’avanzare lento della massa uniforme e colorata del gruppo.
Si alza sui pedali e mi tira la volata.
Gli sto dietro, l’ho fatto tante volte, con altri come con lui.
Mi basta resistere un minuto ancora e ricordarmi di lui nelle interviste.
Poi un pensiero.
Chissà quando gli ricapiterà un’altra occasione. Ha faticato più di me e mi serve la vittoria su un piatto d’oro.
Non è la mia vittoria.
L’arrivo è lì, a portata di mano. Nessuno ci può prendere.
Lui si sposta per lasciarmi passare.
Io metto la mano sul freno.

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