27 gennaio 2009

Amore impossibile

Sono nata nel dicembre di un inverno freddo e cattivo. Ogni mattina tutto si risvegliava sotto una spessa coperta di ghiaccio; le macchine, le strade, i tetti delle case. I fili d’erba dei prati erano fragili spilli di cristallo e i bambini correvano a spezzarli. Le loro urla barbariche erano attutite dalle sciarpe avvolte sui visi per ripararli dall’aria gelida.
I vecchi, con i nasi verso il cielo, aspettavano la neve. Respiravano a bocca aperta, guardavano il vapore denso che usciva e scuotevano la testa.
«Troppo freddo.»
La neve invece è arrivata la notte del solstizio.
Una nevicata fitta e pesante e silenziosa.
Sono nata la mattina. I miei genitori, due ragazzini con giacca a vento blu e dopo sci, hanno raccolto quanta più neve nel mezzo del campo da calcio e l’hanno compattata. Farinosa e soffice non voleva saperne di restare unita. Ogni tanto sfilavano un guanto e affondavano la mano nella neve fresca e la mangiavano, golosi di quel sapore impalpabile.
Un paio d’ore dopo mi hanno regalato occhi grigi e due schegge di mattone per labbra rosse. Come ciglia, lunghi aghi di pino. Un cappello e una sciarpa per non farmi prendere freddo. Si sono allontanati a guardarmi. Uno è tornato e con la mano ha sistemato i miei fianchi rotondi e mi ha fatto il solletico.
Nel pomeriggio l’ho visto per la prima volta.
E’ uscito lento, dietro nuvole grigio piombo. Maestoso anche se pallido. Ho sentito un vuoto allo stomaco e le mie guance sono diventate calde quando ha posato i suoi occhi su di me.
Pochi minuti e poi è scomparso di nuovo, inghiottito da un cielo insensibile.
L’ho aspettato tutta la notte. Pensavo al suo sguardo e sentivo il mio cuore di ghiaccio aumentare il passo. Volevo essere bella per lui, lasciarmi scivolare tra le sue braccia forti e perdermi nella sua passione. Baciarlo e farmi stringere per non lasciarlo mai più.
Sono nata a dicembre e ho vissuto un giorno. E non lo dimenticherò mai.
Ci siamo incontrati di nuovo all’alba. Era timido e delicato. Io sorridevo e lo volevo solo per me, gelosa di ogni altra cosa su cui posava i raggi.
Lo sentivo vicino e mi scioglievo nel suo abbraccio. Prima le ciglia, poi gli occhi. E lui era sempre lì a sostenermi. I fianchi larghi svanivano dopo ogni sua carezza. Volevo i suoi baci teneri e mi ha accontentata.
Mi consumavo per lui. Morivo per lui. E non ero mai stata così felice.
Verso sera, quando mi ha lasciata per sparire dentro il lago, nel mezzo del campetto c’erano solo due schegge di mattone rosso.
Formavano un sorriso.

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