10 dicembre 2008

FLORIDA, 1622

La notte era scesa presto e la luna era nascosta dietro una montagna di nuvole basse e grigie.
La vedetta, dalla cima del pennone, aveva ammainato il Jolly Roger e una bandiera fasulla danzava col vento gelido che soffiava da nord.
Aria di tempesta, pensava. Lo conosceva bene quell’odore di temporale che porta il mare quando sta per diventare cattivo. E come lui lo conosceva tutta la ciurma, marinai che avevano prestato giuramento al denaro e all’omicidio e alle scorrerie lungo le acque salate del Mar delle Antille.
Restavano poco a terra, tre o quattro giorni, non di più perché le monete d’oro facevano presto a passare dalle loro tasche a quelle di prostitute del porto e osti che servivano rhum nelle bettole di Tortuga.
A piedi nudi calpestavano le tavole della nave masticando odio e disprezzo. Fiutavano le prede a miglia di distanza, lupi famelici sotto la stessa bandiera. Nera con il teschio e le tibie incrociate.
Dal mozzo al nostromo si preparavano ad affrontare la burrasca, correvano da poppa a prua urlando tra le raffiche di vento.
Solo il capitano era chiuso nella sua cabina foderata di velluto. Dopo aver fatto sistemare i lingotti d’oro e d’argento nella stiva della Black Death, Noel Hicks contava i dobloni spagnoli. La sua risata secca apriva in due la notte. Nel sentirla, la pelle cotta dal sole dei suoi uomini si era drizzata sulle ossa.

Le prime gocce di pioggia, grosse e pesanti, avevano svegliato l’ammiraglio La Nuestra Senora de Atocha, il più imponente galeone della flotta spagnola, ritornava in patria carico di tesori.
Aveva sollevato la testa e aveva guardato quello che restava della sua nave. Il timone al quale era rimasto appeso dopo l’attacco.
La nave pirata era apparsa dal niente. Un fantasma nel buio di una notte scesa troppo presto. Avevano visto un lampo là dove doveva esserci solo oceano e poi un colpo di cannone sparato a bruciapelo.
L’inferno era durato poco. La Nuestra Senora de Atocha era stata abbordata prima che se ne rendessero conto.
I pirati, demoni urlanti, infierivano senza pietà sugli uomini, vivi o morti che fossero. Nell’aria rimbombavano ritmici i colpi che avevano frantumato il cassero di poppa e l’albero di maestra. Senza sosta, tuono incalzante, la pioggia di ferro si era fermata solo quando il mare si era ingoiato tutto.
L’ammiraglio nella furia del temporale, con l’acqua che gli entrava negli occhi e in gola, sapeva che presto avrebbe raggiunto i suoi uomini e non aveva paura. Lo spaventava l’unico suono rimasto nelle sue orecchie. L’eco dei cannoni che sparavano nel buio.

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