3 novembre 2009

I platani di viale auguggiari e l’uomo senza tempo

Il caldo di luglio non trova spazio tra le fronde del parco della rotonda, dove gli alberi in circolo regalano ombra e riposo. Seduto su di una panchina, sistemo i guanti leggeri vicino alla paglietta e incrocio le mani sul bastone.
Mi guardo attorno. Arriva una carrozza e si ferma; qualcuno scende con calma e attende che i servitori sistemino sul prato tovaglie e cestini da picnic.
I bambini si inseguono, cadono, piangono. Non dal dolore: l’erba è soffice e ben curata. Alcuni giocano a nascondino e trovano rifugio dietro ai tronchi robusti e screpolati dei platani.
Lascio questo angolo di verde e ripercorro la discesa per tornare a casa, verso il centro città.
I platani si dividono in due doppie fila, una a destra e una a sinistra. Sembrano giganti o soldati a un picchetto d’onore. Stanno diritti, si allungano a graffiare il cielo. Hanno chiome fitte e proteggono chi passeggia sotto di loro.
Cammino piano e i decenni corrono veloci al mio fianco.


Una Balilla Spider con la capotte abbassata mi sfreccia accanto e solleva una nuvola di polvere. Mi avvolge, mi fa tossire e la maledico in silenzio.
Mi stringo in un trench stile Bogart e sistemo il cappello con la visiera bassa.
Ai bordi della strada sterrata è rimasta solo una doppia fila di platani. L’altra è stata sacrificata per ampliare la via e per la costruzione di nuove ville.
In questo tardo autunno, con le foglie dipinte di giallo e arancione, ogni albero sussurra malinconia. Mi avvicino a uno e lo accarezzo. Sento gli anni sotto la corteccia e la paura di morire senza motivo. L’istinto di abbracciarlo è forte.

Avanzo con altri passi. Uno e un altro ancora, avanti nel tempo. E il tempo è veloce e cambia le cose.


Sotto le Clark il rumore del nevischio gelato è coperto dai clacson e dai diesel impazienti. Auto ferme al semaforo hanno preso il posto dei platani di un tempo. Quei pochi rimasti, in un unico filare, hanno la corteccia dura e incrinata.
I rami sostengono il peso della neve e degli anni con pazienza e tristezza. Le radici sono ingabbiate nel marciapiede e lottano per un briciolo di libertà.
Molti non sanno che una volta l’asfalto di oggi era una via piccola e stretta e che due viali la costeggiavano di qua e di là. Gli alberi sono diventati un contorno invisibile agli occhi di chi ha fretta.
Non per me. Mi lascio alle spalle l’ultimo platano e mi volto a guardarlo. Il movimento delle foglie è un saluto, un arrivederci al prossimo incontro. Sorrido e faccio un cenno con la testa.
«Alla prossima», rispondo, e riprendo il cammino.

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