14 aprile 2009

Scrivere il corto

Sono anni che vivo qui, in alto e in silenzio. E ne ho visti passare di uomini e donne e ne ho ascoltate di storie. Brevi, un respiro, uno sbadiglio, ma tutte con un senso, e ognuna mi ha fatto sentire più vivo con un piccolo brivido lungo la schiena.


Mi ricordo di tutti, di chi ha perso la curiosità iniziale con la stessa velocità di un acquazzone estivo e di chi, settimana dopo settimana, ancora adesso calpesta questo tappeto e, sulle sedie di plastica che il Fiorenzo sistema intorno, legge il proprio scritto, con umiltà e timore.

Li immagino nelle loro case davanti a un foglio, la penna in mano e la mente a rincorrere i pensieri, agili a fermare quello giusto e a trasformarlo in racconto. Poi strappare tutto con un gesto d’impazienza; perché non sempre è facile mettere sulla carta quello che si ha in testa o nel cuore. Le parole così facili e le frasi semplici e pulite scendono attraverso il braccio, ma nel cammino perdono la loro vera intenzione ed escono confuse e contorte.

Io non ho mai provato, come potrei, ma ho una certa esperienza in merito e so quello che dico. Non mi faccio notare, osservo tutto, e ascolto; e imparo. Se sapessi parlare quante storie racconterei.

Il corto è tutto. Non è come pensano in tanti la prima volta che oltrepassano quella porta. Corto non vuole dire riassunto. Nel corto c’è il succo, l’essenza della storia, quella con la S maiuscola e quella di tutti i giorni. E’entrare diretti nella narrazione, è un affondo di lancia, è saltare preamboli e orpelli inutili e arrivare al centro; e lì colpire, e poi sparire subito, con la ferita di quelle 2600 battute, spazi compresi, che sono il massimo concesso al racconto.

Ogni settimana, da questo mio posto privilegiato, in alto e in silenzio, ascolto le storie di acerbi scrittori venuti qui per essere plasmati. Sento la loro fame di essere ascoltati, di raccontare parte di sé, e scorgo quel lumicino di speranza che hanno di vedere pubblicate le loro storie.

Perché non lo dicono mai, ma in segreto ognuno di loro sogna di vedere il proprio nome stampato su una copertina lucida dietro a una vetrina.

Nelle sere fatte di letture e confronti, con le lancette che si muovono più rapide del solito, ogni tanto qualcuno alza gli occhi e sento lo sguardo su di me, sui miei colori d’Africa e sulla mia figura regale e a volte altezzosa.

E allora spero.

Spero di avvolgerli con l’ispirazione, spero di vedere realizzato il mio sogno e di sentire tra qualche tempo un corto, su un vecchio, silenzioso, leone dipinto.

Nessun commento:

Posta un commento