2 luglio 2015

L'unica soluzione - Racconto per il quotidiano "La Provincia di Varese"

Nell'edizione di domenica, sulla pagina culturale coordinata da Mario Chiodetti, è apparso il mio racconto "L'unica soluzione". E' la seconda volta che un mio racconto viene pubblicato dal quotidiano varesino e speriamo possa diventare un'abitudine. Come il precedente, che pubblicherò settimana prossima, fa la sua comparsa l'ex commissario Edoardo Perozzi (anche se nel racconto è ancora ispettore..). Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


L'UNICA SOLUZIONE

- Perozzi... -
Il Righi mi aveva raggiunto in cucina mentre in soggiorno, il Farinotti e il Celi discutevano sul futuro del Varese dopo una stagione disastrosa.
- Perozzi, sai chi ho visto in corso Matteotti ieri? Aurora Ratti. -
L'avevo guardato di sbieco, staccando gli occhi dal risotto che mantecava. Lui aveva annuito e aveva insistito: era proprio lei, difficile sbagliarsi, anche se erano passati gli anni.
L'aveva detto con il tono di chi racconta di avere incontrato un vecchio compagno di scuola di cui si sono perse le tracce. Ed era la cosa che più mi aveva dato più fastidio.
Perché lo sapeva che Aurora Ratti era morta da quarant’anni.

Un poliziotto non dimentica un omicidio al quale ha lavorato. I capelli possono diventare bianchi, come nel mio caso, ma lo sconforto o la gioia per una condanna sono sentimenti che ti rimangono incollati addosso per sempre.
Soprattutto se il delitto Ratti è stato il primo al quale hai lavorato.
Nel 1978 Aurora aveva ventotto anni. Il diciannove maggio, intorno all’una, lasciò la scuola elementare a Masnago. A volte percorreva la via Nievo fino alla fermata della corriera e scendeva a Giubiano dove abitavano i genitori e dove era tornata a stabilirsi dopo la separazione dal marito, un paio di mesi prima. Quando era una bella giornata, invece, passeggiava verso il centro e saliva sul pullman in piazza Montegrappa.
Quel giorno salutò due colleghe e si incamminò lungo via Caracciolo. Non arrivò mai a casa. I genitori furono i primi a dare l'allarme e alle diciotto, non vedendola, vennero in Questura.
Mi sembra di averli ancora qui davanti. Lui era un anatomopatologo e qualche volte mi era capitato di incrociarlo. In quel momento però mi parve un'altra persona. Alto e magro, volto allungato e tirato con tante, troppe rughe attorno agli occhi. Rimase sempre in piedi, alle spalle della moglie, una donna minuta, incurvata dalla preoccupazione e dalla premonizione. Quel sesto senso che solo le madri sanno avere.
Diedero a me e al mio collega una fotografia di Aurora e con un filo di voce risposero alle prime domande.
-No, nessun allontanamento volontario, nessun rapimento. Dove può essere, ispettore? - 

La ritrovammo la mattina successiva, poco dopo l'alba, nei prati di via Campigli. Era prona, con le braccia lungo il corpo e i palmi rivolti verso il cielo, le ginocchia un poco flesse. Non c'erano segni di lotta sul corpo e sembrava avesse un sorriso sereno sul volto. Nonostante la ferita che l'aveva uccisa, un unico colpo inferto con precisione al cuore.
Mostrammo la fotografia di Aurora agli abitanti della zona, ma nessuno aveva visto quella ragazza giovane, bionda e bella. Parlammo a lungo con i genitori per sapere quale fossero le abitudini della figlia, le sue paure. Quali i sogni realizzati e quali quelli che sarebbero rimasti chiusi in un cassetto.
Interrogammo gli amici per scoprire dettagli della sua vita che magari aveva tenuto nascosto a casa.
Non trovammo molto. Aurora aveva avuto un’infanzia felice e una maturità serena. Pochi fidanzati e tutti senza importanza, tranne quello che aveva poi sposato, anche se la loro storia non aveva avuto il finale delle favole. Un lavoro al quale aveva dedicato l'anima e la disponibilità ad aiutare gli altri nel tempo libero: ex tossici, malati terminali o adolescenti problematici.
Ricordo che fermammo due sospettati, ma non c'erano prove per arrestarli. Il mio collega, con più anni e più esperienza di me, era convinto che il colpevole fosse il marito. La madre di Aurora ci disse che era molto geloso, e qualche volta anche violento, per questo lei lo aveva lasciato. Ma Luca Capossi, così si chiamava, aveva un alibi: era a Roma per lavoro e c'erano molti testimoni a confermarlo.
Quello di Aurora Ratti rimase un delitto irrisolto. Per qualche anno restai in contatto con i genitori, anche se in quelle occasioni l'impressione di aver fallito mi schiacciava come un macigno.

Il Righi ha molti difetti, ma se dice di averla vista, ci credo.
Per questo ora sono al cimitero di Belforte. La sua tomba è in ordine, fiori di qualche giorno e il marmo pulito di recente. Sulla lapide tre fotografie: di Aurora, la stessa delle indagini e quelle dei genitori, invecchiati prima del tempo.
E all'improvviso la vedo anch'io. Avanza senza fretta verso di me. L'andatura è quella di una donna sicura di sé, tiene un mazzo di crisantemi in mano e quando si ferma al mio fianco riconosco lo stesso viso sorridente della foto. Ha le rughe di una signora di sessant'anni e anche i capelli biondi ora hanno qualche riflesso grigio. Ma è lei. Senza dubbio.
- Lei deve essere l'ispettore che indagò sul mio omicidio. - Dice dopo aver cambiato i fiori e dopo aver mormorato un preghiera. Io annuisco e resto in silenzio. È una situazione irreale, ma devo capire.
- La gelosia è un amore malato e lo è anche il possesso, lo sa? Quarant’anni fa ero di proprietà di mio marito, ero una cosa sua e per questo doveva darmi il permesso anche di respirare. So che avete sospettato di lui. -
- Era un violento, ci hanno detto. -
Scuote la testa. Dice che se non lo vivi sulla tua pelle non puoi nemmeno immaginare il male fisico, qualche pugno, diversi calci, molte sberle e quello psicologico fatto di silenzi, di pedinamenti e oppressioni.
- Lascialo, mi sono detta molte volte. Ma ho sempre creduto ai suoi pentimenti, alle sue bugie, a quando mi giurava che sarebbe cambiato. E in quei momenti rivedevo il ragazzo meraviglioso di cui mi ero innamorata. -
- Poteva denunciarlo. -
Aurora Ratti scoppia a ridere. È una risata amara e fredda.
- Me lo dissero anche i miei. Ma la verità è che avevo terrore della sua reazione. Tutte quelle come me hanno paura. Paura delle conseguenze, perché la giustizia non c'è adesso, figuriamoci allora. Nessuno può proteggerci. Oggi lo chiamano femminicidio. È una parola come un'altra per descrivere un delitto, uno di quelli più atroci perché compiuto dalla mano di chi hai creduto di amare. -
Mi confida che l’unica soluzione è fuggire. E in un soffio si libera del peso che si porta dentro da tanto tempo.
- Conobbi Chiara, una ragazza all'ultimo stadio di un brutto male, nel 1977. Era identica a me, spesso ci confondevano. Anche lei era vittima di una violenza come la mia, abbiamo legato, ci siamo fatte forza. Lei mi ha suggerito la soluzione. “A me non manca molto” mi disse una sera di gennaio. “Tu hai la vita che ti aspetta”. Giorno dopo giorno mi ha convinta. -
Aurora rimane in silenzio e guarda la sua fotografia sulla lapide. Chiara non aveva nessuno, mi spiega dopo un attimo di esitazione, e aveva lasciato l'ospedale per passare l’ultimo periodo a casa.
Uscita da scuola, Aurora si era incamminata verso via Campigli. Lì, lontano dalla strada, l'aspettavano i suoi genitori e Chiara. Si erano scambiate i vestiti, Aurora le aveva consegnato gli anelli, gli orecchini, la borsa. La sua identità. In cambio le ha dato una nuova esistenza.
- “Colpisci al cuore e sii felice” mi ha sussurrato abbracciandomi e ho dovuto fare ciò che non avrei mai voluto. Non è stato facile e anche se ci si abitua a tutto, le tragedie ti rimangono strette dentro e non serve a niente scappare. -
La voce le trema mentre lo dice e gli occhi guardano un punto lontano, verso il muro di cinta del cimitero.
Ricordo che il padre di Aurora volle eseguire l'autopsia. Mi sembrò una cosa strana, macabra. Nessuno toccherà la mia bambina, si era giustificato lui, e il giudice, che lo conosceva da tempo, aveva acconsentito. Ora capisco il perché di quell'insistenza. Un altro medico avrebbe scoperto il tumore e avrebbe sollevato dei dubbi.
- Dove sei stata in questi anni? - Chiedo anche se la mia è solo curiosità.
- In Francia. Non volevo allontanarmi troppo. I miei, con la scusa di fuggire dalla città che aveva visto la mia morte, mi raggiungevano. E mi aggiornavano sulle visite di un ispettore che non aveva mai dimenticato il mio omicidio.
Sorride. Questa volta sul volto le nasce un sorriso sereno e anche se mi ha usato non sono offeso. Prima ha detto che quelle come lei non possono essere protette. Non posso condannare la sua mancanza di fiducia nella giustizia. Sono in molti ad averla persa, io prima di tutti. Ma questa è un'altra storia.
Ha ucciso una ragazza, però, anche se malata.
Lei mi osserva e sembra leggermi nel pensiero. Allunga i polsi, come se dovessi ammanettarla.
La Legge è uguale per tutti. Dovrebbe essere così, ma troppo spesso non lo è. Come in questo caso.
Così mi volto e me ne vado.














 

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