23 febbraio 2015

Due parole su "Il piano del Gatto"


L'immagine che vedete qui sopra è stata scattata venerdì alla Libreria del Corso di Varese. Quindi dopo averlo scritto, letto, riletto e riscritto, pubblicizzato nei giorni scorsi, ora "Il piano del Gatto" è ufficialmente sui ripiani delle librerie. Dato che qualcuno potrebbe acquistarlo e magari anche leggerlo, mi sento in dovere spendere due parole sul perché ho scritto una storia che parla di rapine, di banditi, di miliardi scomparsi e ambientata un anno prima della mia nascita.
Devo dire grazie a due persone che conosco non personalmente ma solo attraverso le loro opere: Giancarlo De Cataldo ed Enzo Jannacci, due artisti molto diversi tra loro, uno scrittore e un genio che definire cantante e musicista è riduttivo. Che c'entrano questi due con "Il piano del Gatto"?
Spiego: la prima idea, la scintilla diciamo così, l'ho avuta leggendo (e guardando) "Romanzo criminale", libro e serie TV ispirata alla Banda della Magliana sulle vicende, criminali per l'appunto,  dalla nascita fino al tramonto, per prendersi Roma e tutta la penisola. Pur essendo delinquenti c'era un non so che di affascinante nel Libanese, nel Freddo, nel Dandi. Da qui l'idea di scrivere non un giallo classico, come il commissario Scalabrin mi aveva portato a fare fino ad allora, con il buono che trionfa, ma un noir cattivo in cui il male e il crimine affascina, una storia senza polizia e senza legge. O perlomeno con un ruolo marginale.  Ma non potevo certo scopiazzare "Romanzo criminale" o l'altrettanto bello e ispirante "Milano criminale" di Paolo Roversi. Dovevo prendere una mia strada e, poiché mi piacciono le contraddizioni, mi sono chiesto come sarebbe stato scrivere la storia di tre ragazzi che criminali proprio non sono, ma sono giovani semplici ognuno con il bisogno di denaro e in cerca di un'altra vita per avere un futuro lontano dalla miseria. Personaggi che Jannacci ha descritto in modo perfetto nelle sue canzoni: "L'Armando", "Bobo Merenda", "Giovanni Telegrafista", "Vengo anch'io" e "El purtava i scarp del tennis" "Vincenzina e la fabbrica" e mi fermo qui, ma potrei andare avanti per un pezzo.
Ecco allora che sono nati il Monaco, il Principe e il Rosso, tre ventenni diversi per cultura e per ceto sociale, ma tutti con la voglia di arricchirsi in breve tempo e senza grossa fatica. E poi c'è il Gatto, più grande di loro e vero criminale, forse; l'unico comunque in un certo modo nel giro, con il sogno di ripetere la rapina di via Osoppo, avvenuta a Milano nel '58, e con l'esempio della Banda della Magliana da seguire e imitare. La storia, poi, si è scritta da sola, con i vari personaggi che di pagina in pagina prendevano forma e carattere.
L'ambientazione, Varese, e l'anno, il 1977, sono state scelte più o meno obbligate. Soprattutto per l'anno per via della seconda parte, che si svolge vent'anni dopo la rapina, e per dare quell'aria di parallelismo con il crimine degli anni di piombo a cui il Gatto voleva rifarsi. In ogni caso, ci tengo a precisarlo, il mio non è un romanzo storico, Ci sono ovviamente riferimenti reali a quegli anni, ma alcune parti di contorno sono volutamente romanzate o, per quel che riguarda Varese, i suoi rioni, le descrizioni, mi sono permesso la libertà di adeguare certi aspetti alla storia e alla narrazione.
In ogni caso scrivere "Il piano del Gatto" è stato divertente e sono soddisfatto e davvero contento di averlo visto impilato in libreria in bella vista.
Spero vi faccia passare qualche ora piacevole, cosa che un buon libro ha l'obbligo di fare.
Buona lettura.


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