20 ottobre 2009

La storia della Signora del Lago

Racconto selezionato tra i testi vincitori e degni di pubblicazione nella raccolta bandita dal Concorso Internazionale "Il corto letterario e l'illustrazione 2009"


I miei genitori mi ripetevano di non andare a giocare al lago.


Mi raccontavano delle storie e io le ascoltavo con gli occhi sbarrati, pronto a tapparmi le orecchie; la paura era un pugno, mi colpiva dentro e popolava di mostri i miei sogni. C'erano pesci giganti, ghiotti di bambini dalle guance tonde e i capelli castani, come me; c'erano le alghe, pronte ad allungare le dita per afferrarmi alla gola, tapparmi la bocca e avvolgermi come la notte. Con un incantesimo riuscivo a respirare sott'acqua e sentivo il mio nome, urlato da mia madre, e vedevo l'ombra delle barche dei soccorritori muoversi lente e silenziose. Senza speranza.

E poi c’era lei, la Signora del lago. Vissuta al di là del tempo e della memoria, nell’epoca in cui gli uomini giravano a cavallo con la spada al fianco e in armature che bruciavano sotto il sole; tra maghi e streghe che conoscevano le stelle e le erbe, e avevano una pozione per ogni male. Tranne la morte.

La peste si era portata via il suo bambino e la ragione l'aveva abbandonata poco a poco. Vagava per il villaggio, ripeteva il nome del figlio; lo vedeva negli occhi di chiunque e parlava con lui nella nebbia fredda dell’alba. Fino a una mattina di gennaio, quando la trovarono a riva, tra i canneti, senza più calore nel corpo né parole senza senso.

I miei genitori, per farmi paura, mi raccontavano della sua anima, rimasta sotto lo specchio del lago. Ogni tanto usciva e prendeva chiunque le capitasse a tiro, per tenerlo sempre con sé, tra le alborelle, i persici e le carpe.

Gli anni, gli stessi che hanno pettinato i miei capelli di bianco, avevano steso una patina di grigio su queste storie. Ma l'ho riconosciuta subito, la Signora del lago, quando l’ho vista davanti; nella sua veste impalpabile, con i suoi occhi spenti e le lacrime salate che si mischiavano all'acqua dolce.

Mi ha afferrato le gambe e mi ha portato nel suo regno; ho gridato e l'urlo s'è perso tra le acque fredde; ho bevuto e tossito e mi sono divincolato, ma quella mano d'osso era ferro.

Lei ha sussurrato il mio nome con una voce di miele e ho smesso di lottare. Mi aspettava e l'ho seguita nel suo mondo, dove il sole non scalda, e quando la neve cade fitta niente si colora di bianco.

Laggiù, dove i sogni si mescolano con la realtà e il tempo ha i contorni velati dell'illusione.

Laggiù, dove la Signora del lago passeggia senza impronte e ripete senza sosta il nome di suo figlio.

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